I depositi Iva sono disciplinati dall'art.50/bis del DL 331/1993 Legge 427/1993: sono luoghi nei quali tutte le operazioni avvengono senza pagamento dell'Iva ma ove la merce deve necessariamente entrare dato che non è assolutamente ammessa alcuna forma di deposito "virtuale". Il fine dei depositi Iva è facilitare i movimenti e la custodia dei beni oggetto di traffici intracomunitari ed in particolare di quelli che provengono da Paesi comunitari o che sono destinati verso di essi.
La disciplina consente di effettuare senza assoggettare ad Iva, tutte le operazioni che riguardano i beni che vengono introdotti in "custodia" nei depositi, rinviando l'applicazione dell'imposta quando gli stessi fisicamente ne escono.Quindi l'introduzione dei beni e le successive cessioni sono effettuate senza applicazione dell'Iva, cos' pure le lavorazioni dei beni custoditi e anche il compenso dovuto per il deposito e la custodia. Mentre all'atto della estrazione dei beni dai depositi, si realizza l'assoggettamento all'imposta secondo la destinazione degli stessi (cessione interna imponibile, ovvero cessione all'esportazione o intracomunitaria non imponibile).
Possono essere introdotti nei depositi Iva: beni comunitari sia provenienti da altri Stati membri sia importati da Paesi extracomunitari ed immessi in libera pratica presso una dogana italiana; 2) beni nazionali ceduti nei confronti di soggetti comunitari; 3) determinati prodotti che sono trattati nelle borse merci,anche se sono oggetto di cessioni interne.
I depositi possono essere suddivisi in due macrocategorie: il deposito pubblico, gestito direttamente dall’autorità pubblica o concesso a persone giuridiche o gestito da privati ed utilizzabile da qualsiasi persona per l’immagazzinamento delle merci; ed il deposito privato, destinato unicamente all’immagazzinamento di merci da parte del destinatario.
I depositi pubblici a loro volta assumono tre differenti forme:
- tipo A, deposito pubblico sotto la responsabilità del depositario;
- tipo B, deposito pubblico sotto la responsabilità dei singoli depositanti che accedono ai servizi del deposito;
- tipo F, deposito pubblico gestito direttamente dall’autorità doganale.
Le forme dei depositi privati invece sono:
- tipo C, deposito privato con responsabilità del depositario e dove il depositante ed il depositario sono lo stesso soggetto, senza essere necessariamente proprietario della merce;
- tipo D, il depositario si identifica con il depositante senza essere necessariamente proprietario della merce ed è anche titolare di una procedura domiciliata e gli elementi di tassazione constatati all’atto dell’introduzione in deposito verranno presi ai fini dell’immissione in libera pratica;
- tipo E, il depositario si identifica con il depositante senza essere necessariamente proprietario della merce e consente di immagazzinare le merci in propri impianti di stoccaggio senza che siano preventivamente identificati nell’autorizzazione o rispondano a criteri predeterminati in autorizzazione.
La responsabilità di garantire che le merci non siano sottratte alla sorveglianza doganale durante la loro permanenza nel deposito e di rispettare gli obblighi risultanti dall’immagazzinamento dei beni spetta al depositario; mentre il depositante è responsabile dell’osservanza degli obblighi derivanti dal vincolo delle merci al regime del deposito doganale.
Per costituire e gestire un deposito occorre presentare una domanda di autorizzazione da farsi sull’apposito modello comunitario, da consegnarsi alla direzione regionale competente per territorio, che deve contenere le indicazioni necessarie all’identificazione del richiedente, del luogo e del tipo di deposito richiesto, alle procedure doganali proposte, alle operazioni che il richiedente intende effettuare nel deposito e la proposta per identificare l’ufficio di controllo. Alla domanda vanno inoltre allegate le planimetrie dei luoghi destinati all’immagazzinamento.
Per introdurre le merci in un deposito doganale autorizzato è necessario presentare una dichiarazione (Mod. IM7) per il vincolo della merce al regime del deposito e prestare una garanzia, solitamente una fideiussione bancaria o assicurativa, per i diritti doganali gravanti sulla merce che restano sospesi.
In seguito alla presentazione della dichiarazione di introduzione in deposito (IM7) i beni possono venire introdotti nel deposito e presi in carica nella contabilità di magazzino in base alle modalità stabilite nell’autorizzazione.
Durante la giacenza nel deposito le merci possono essere oggetto di manipolazioni usuali volte ad assicurare la conservazione o a migliorare la presentazione e la qualità commerciale, nonché essere temporaneamente rimosse o trasferite ad altro deposito.
Il richiedente, al fine di ridurre il costo di gestione dell’immagazzinamento, può ottenere dalla direzione regionale l’autorizzazione ad immagazzinare contemporaneamente nello stesso deposito,sia merci estere che nazionali o nazionalizzate o comunitarie,purché vengano ben distinte e contrassegnate.
Per l’estrazione della merce e quindi la successiva immissione in consumo nel territorio nazionale ed il pagamento dei dazi all’importazione, dell’Iva e delle eventuali accise, o la riesportazione fuori del territorio doganale della Comunità Europea, il depositante deve presentare apposita dichiarazione in dogana (Mod. IM4 o T1),mentre il depositario scaricherà la merce nella contabilità di magazzino.
Ultime novità in tema di esonero dal prestare cauzione
l’Agenzia delle dogane, ad integrazione alla direttiva prot. n. 127293/RU del 4 novembre 2011, ha emesso la nota prot. 148047 /RU del 1 febbraio 2012, con cui vengono fornite le ennesime precisazioni relative al regime del deposito IVA, in particolare sulle condizioni e le modalità per il rilascio dell’esonero ex art. 90 del TULD dalla prestazione di garanzia per l’introduzione di beni nei depositi IVA di cui all’art. 50 bis del D.L. n.331/1993, convertito dalla legge n.427/1993.
Per quanto riguarda i soggetti non residenti, l’Agenzia precisa che con la nota prot. n. 113881/RU del 5/10/2011 era stata prevista l’obbligatorietà della prestazione della garanzia anche nel caso in cui l’immissione in libera pratica con introduzione in deposito IVA della merce viene effettuata da un soggetto non residente identificatosi direttamente nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 35 ter del DPR 633/1972 o che abbia ivi nominato un rappresentante fiscale ai sensi dell’art. 17, terzo comma, del decreto medesimo, salvo nell’ipotesi in cui questo sia titolare di certificazione AEO rilasciata da altro Stato membro ovvero, ricorrendone i presupposti, sia esonerato ai sensi dell’art. 90 del D.P.R. n. 43/1973 (cfr par.3).
Ai fini del rilascio dell’esonero, anche per detta categoria di soggetti valgono i requisiti indicati dalla nota prot. n. 127293/RU del 4 novembre 2011. Nel caso di specie, tuttavia, il requisito dell’iscrizione alla Camera di commercio, industria artigianato e agricoltura deve essere valutato in relazione alla particolarità del soggetto stesso che, per definizione, è ivi non residente. Pertanto, in luogo del certificato storico rilasciato dalla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, il soggetto non residente è tenuto ad allegare all’istanza di esonero dal prestare cauzione ai sensi del richiamato art. 90 del TULD (esonero, si ricorda, valido esclusivamente per l’introduzione di beni nei depositi IVA di cui al citato art. 50 bis), la seguente documentazione, corrispondente a quella che, di norma, viene richiesta dall’Agenzia delle Entrate ad un soggetto non residente per l’attribuzione della partita IVA ex art. 35 ter del D.P.R. n. 633/72:
- certificato originale (riportante il timbro dell’Autorità che lo emette e la firma del funzionario competente della medesima Autorità) ed aggiornato della Camera di Commercio del Paese dove ha sede l’impresa. Se trattasi di società, detto certificato deve indicare i rappresentanti con facoltà di agire ed i poteri di firma. Nell’ipotesi in cui l’Autorità estera competente rilasci solo certificazioni acquisibili tramite la rete internet, il certificato deve essere comunque timbrato e firmato in originale dall’Autorità emittente. Il certificato deve essere accompagnato da una traduzione in lingua italiana, sottoscritta da colui che l’ha eseguita, unitamente alla copia di un documento d’identità di quest’ultimo;
- copia di un documento d’identità del firmatario della richiesta di esonero ovvero del rappresentante fiscale nominato ai sensi dell’art. 17, terzo comma, del D.P.R. n. 633/72.
In considerazione della particolarità del caso in esame, l’istanza di esonero viene presentata dal soggetto non residente all’Ufficio delle Dogane presso il quale ha prevalentemente effettuato le operazioni di importazione e/o di immissione in libera pratica con introduzione della merce nel deposito IVA nell’anno precedente, ovvero presso quello territorialmente competente in relazione alla sede del proprio rappresentante fiscale. In detta istanza di esonero il soggetto non residente deve indicare anche, se ne è in possesso, il proprio codice EORI.
Per quanto riguarda le operazioni effettuate presso diversi Uffici delle Dogane, l’Agenzia precisa che è ammessa la possibilità di utilizzare l’esonero ex art. 90 del TULD dalla prestazione di garanzia per l’introduzione di beni nei depositi IVA di cui al citato art. 50 bis per operazioni da effettuare presso diversi Uffici delle Dogane.
In tale ipotesi occorre indicare nella relativa istanza, gli Uffici delle Dogane ove verranno effettuate le operazioni e le singole quote di esonero che intende ivi utilizzare.
La comunicazione agli Uffici delle Dogane interessati viene effettuata da quello che ha rilasciato l’esonero.
La nota prot. n. 127293/RU del 4/11/2012 ha chiarito anche che, nel caso in cui il limite massimo dell’ammontare dell’IVA relativa alle operazioni di importazioni effettuate nell’anno precedente, ovvero quella relativa alle immissioni in libera pratica di beni introdotti in un deposito IVA, venga superato nel corso dell’anno, il soggetto è tenuto a prestare cauzione nei modi di rito (cfr p. 4). Considerato il tenore della Risoluzione 7-00713 approvata in data 20 ottobre 2011 dalla VI Commissione permanente (Finanze) della Camera dei Deputati ed accolta dal Governo, non si ritiene possibile prevedere alcuna deroga al principio ivi stabilito.
E’ di tutta evidenza che, a fronte di un eventuale incremento della propria attività e delle connesse operazioni doganali, il soggetto esonerato dal prestare cauzione può comunque presentare, ricorrendone i presupposti, richiesta di certificazione AEO: l’attribuzione di tale status infatti comporta il medesimo beneficio ai fini della prestazione della garanzia per l’introduzione delle merci nel deposito IVA, ma senza alcun limite circa l’ammontare complessivo delle operazioni che possono essere effettuate in regime di esonero.
L’Agenzia avverte anche che con l’art. 15, comma 1, della Legge 12 novembre 2011, n. 183 (Legge di stabilità 2012), entrata in vigore il 1° gennaio scorso, è stato modificato il DPR n. 455/2000, recante il Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, relativamente ai certificati ed alle dichiarazioni sostitutive. Come precisato dalla direttiva n.14/2011 del Ministro della Pubblica Amministrazione e della Semplificazione, detta disposizione è diretta a consentire una completa “decertificazione” nei rapporti tra P.A. e privati, soprattutto con riferimento all’acquisizione diretta dei dati presso le Amministrazioni certificanti da parte delle Amministrazioni procedenti e, in alternativa, la produzione da parte degli interessati solo di dichiarazioni sostitutive di certificazione o dell’atto di notorietà.
Ciò comporta che, ai fini del rilascio dell’esonero dal prestare cauzione, il soggetto istante non è più tenuto a presentare “il certificato di assenza di carichi pendenti come risultante dal certificato, approvato con Determinazione del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 25 giugno 2001, rilasciato dal competente Ufficio delle Entrate”, compreso tra la documentazione richiesta in base alle istruzioni di cui alla citata nota prot. n. 127293/RU del 4/11/2011 (cfr p.1, lett. b).
In luogo di detto certificato, in base all’art. 46 del D.P.R. n. 445/2000, il soggetto istante rilascia una dichiarazione sostitutiva di certificazione con la quale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 76 del D.P.R. medesimo, dichiara l’assenza di carichi pendenti ai fini fiscali, consapevole, ai sensi dell’art. 75, della decadenza dei benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera.
E’ la stessa direttiva del Ministro della Pubblica Amministrazione e della Semplificazione a riconoscere che il nuovo quadro normativo impone di operare per assicurare le certezze pubbliche attraverso l’acquisizione d’ufficio dei dati o dei documenti e gli “idonei controlli, anche a campione”, di cui agli articoli 71 e 72 del citato D.P.R. n. 445/2000, sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive.
A tal fine, l’art. 72 del D.P.R. n. 445/2000 prevede che, mediante pubblicazione sul loro sito istituzionale, le Amministrazioni certificanti individuino l’ufficio responsabile e rendano note le misure organizzative adottate per l’efficiente, l’efficace e la tempestiva acquisizione d’ufficio dei dati da parte delle Amministrazioni procedenti.
Nelle more della predisposizione di quanto sopra, le Amministrazioni certificanti, titolari di banche dati, devono comunque rispondere alle richieste di informazioni ai sensi del citato art. 43 (cfr Direttiva n. 14 del 2011, p. 2).
Pertanto, in base alle disposizioni del suddetto art. 71, con le modalità previste all’art. 43, gli Uffici delle Dogane sono tenuti ad effettuare idonei controlli, anche a campione, e in tutti i casi in cui sorgano fondati dubbi, sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive di certificazione rilasciate ai fini dell’esonero dal prestare garanzia in esame. Detti controlli vengono effettuati mediante acquisizione di dati e di informazioni presso il competente Ufficio delle Entrate.